Lavoro e sostenibilità

 

Livio Lavelli –ll consulting| Creatività per il business | 26 febbraio 2014

 

 

La sostenibilità di mercato in Europa.

Il caso Electrolux devo dire mi ha colpito e mi ha fatto riflettere non poco. Avendo lavorato parecchi anni in una multinazionale non mi stranisce il fatto che una filiale possa essere chiusa e trasferita in altra nazione, la storia ci insegna che questa drastica scelta è già stata più volte applicata. Quanto mi fa riflettere nel caso Electrolux sono le motivazioni: un minor costo del lavoro laddove si vuole spostare la filiale produttiva.

Potrebbe essere una minaccia per aprire con i sindacati e con lo Stato Italiano una trattativa che vedrebbe comunque colpiti i lavoratori nel proprio stipendio anche se metterebbe ancora una volta le Istituzioni dello Stato di fronte ad un problema che deve essere affrontato con urgenza. Quanto però mi fa più riflettere è il cambio di strategia che le multinazionali stanno operando e che sinceramente sul lungo periodo non mi sembra possa dare grossi risultati.

In passato le multinazionali spostavano le loro unità produttive principalmente per andare là dove si presentavano nuovi mercati da sfruttare. Spostando la produzione nei nuovi mercati consentiva di personalizzare il prodotto in base alla cultura del mercato e abbattere i costi di trasporto e consegna del prodotto. Ora sentire che le multinazionali seguite da alcune imprese di dimensione medie fanno la scelta semplicemente per abbattere il costo di produzione, per vendere ancora sui consolidati mercati in Europa, mi porta ad approfondire la reale sostenibilità di questa scelta. Esistono due punti essenziali da valutare:

  1. Il mercato europeo pur consolidato è in continua restrizione perché alcune Nazioni stanno soffrendo una crisi economica che è fatta soprattutto da una crisi di lavoro (Andremo poi di seguito a verificarne i motivi). Questo mercato diventerà sempre più debole e non riuscirà ad assorbire quanto prodotto.
  2. I mercati che si genereranno laddove si sposta la produzione non potranno mai bilanciare le quote perse del mercato europeo generate nel passato del benessere. Questo sistema potrà funzionare solo per un periodo limitato corrispondente alla durata degli aiuti economici europei verso queste nuove nazioni entrate nella comunità ma non nella moneta unica. Del resto c’è da considerare che il costo del lavoro in queste nazioni non è basso solo per un basso cuneo fiscale, ma anche per lo stipendio netto incassato dai dipendenti. Con questi stipendi potranno un doamni generare per l'europa dei floridi mercati?

Certo la sfida posta dai nuovi mercanti emergenti che ci hanno inondati di prodotti a basso costo nei nostri mercati, ha sconvolto i rapporti qualità/prezzo e valore/prezzo. Da anni le aziende europee hanno pensato di creare se non spostare la produzione in nazioni come la Cina per far fronte a questa sfida, importando sistemi di qualità, materie prime e processi di lavorazione avanzati. Una scelta che ha traferito in una Nazione molto potente la cultura di prodotto e di impresa tipiche delle nazioni che avevano avuto una continua crescita dell’organizzazione e delle metodologie di lavoro dalla rivoluzione industriale in poi. Questa scelta è poi stata fatta in altre nazioni emergenti come Brasile e India. Sicuramente questa soluzione ha generato mercati di grossa rilevanza, ma che cominciano a ridimensionarsi seppur i numeri sono ancora molto interessanti.

E in tutto questo la vecchia Europa?

L’attuale politica economica Europea mi sembra molto lontana dal creare i presupposti di una sostenibilità del lavoro. Del resto le scelte finora hanno avuto come punti di riferimento soprattutto la stabilità finanziaria e la difesa delle posizioni economiche/finanziarie delle nazioni nel passato più virtuose. Per questi motivi da anni per le Nazioni facenti parte della moneta unica ci si è concentrati sulla riduzione del debito pubblico e si sono imposti parametri stretti e ferrei che devono essere rispettati in un lasso di tempo breve. Questo ha creato quella che da un po’ di tempo viene chiamata l’Europa a due velocità, una che sta superando la crisi economica con un aumento significativo del PIL e una bassa disoccupazione, l’altra ancora in recessione o con un aumento del PIL insignificante ed un’alta disoccupazione.

Qualcuno ricorderà che agli albori dell’Unità Europea tutto iniziò con una visione di Mercato Comune il famoso MEC. Ma quanti stanno riflettendo che gli obiettivi del MEC si stanno infrangendo nelle scelte della stabilità finanziaria per la moneta unica (l’EURO). Per quanto detto prima il mercato europeo si è impoverito, la disoccupazione e il potere d’acquisto strangolati da politiche economiche tese alla sola riduzione del debito pubblico stanno massacrando i mercati interni creando enormi difficoltà alle imprese produttive e commerciali.

A tutto ciò si contrappongono Nazioni che pur essendo nell’Europa politica non sono di fatto in quella finanziaria non essendo inserite nella moneta unica, chiaramente vista la loro situazione economica pregressa. Ora queste Nazioni finanziate dalla stessa Europa per assumere le caratteristiche economiche finanziarie che le possano integrare, stanno diventando nazioni concorrenti nello stesso sistema in quanto non è stato studiato un sistema di ammortizzazione dei disequilibri che si sarebbero generati.

Di fronte a questa situazione non si può certo parlare di mercato sostenibile in Europa. Si sta verificando una realtà dove stanno mancando di principi di sostenibilità:

  • Mantenimento di opportunità di lavoro egualitarie nelle diverse Nazioni
  • Eliminazione dei disequilibri del costo del lavoro
  • Finanza solidale
  • Parametri e obiettivi raggiungibili facendo leva su valore e tempi
  • Creazione di un mercato unico equilibrato
  • Politiche finanziarie comuni a tutte le Nazioni.

Ad oggi il vero fallimento dell’Europa sta proprio nel non essere stata capace di integrare tutte ke sue Nazioni in un unico mercato regolato dalle stesse normative fiscali ed economiche lasciando invece spazio ad una concorrenza interna ben peggiore perché drogata da aiuti finanziari e da parametri differenti.

In questa situazione alcune imprese sono costrette a subire per le loro dimensioni, la loro organizzazione, il loro prodotto, l’incapacità di affrontare una ridistribuzione geografica delle attività produttive, altre ne stanno sfruttando le opportunità offerte con una programmazione a breve termine non ponendosi il problema della sostenibilità delle loro scelte.

 

La sostenibilità dell’impresa

Non esiste sostenibilità di un’impresa se non fa riferimento al suo capitale umano.

 

In questa frase ci sono due concetti, sostenibilità e capitale umano, che sembrano talmente lontani che potrei rischiare di essere considerato pazzo. Per pura follia voglio allora condividere un altro pensiero:

 

Un dipendente ancor prima di essere un collaboratore è un potenziale cliente.

 

Questi due aforismi si sintetizzano in un terzo:

 

Un’impresa deve riconoscere che il proprio mercato parte dall’interno cioè dai suoi clienti/collaboratori.

 

Questo pensiero ovviamente non vuole intendere che un’azienda vive in un mercato fatto dai loro stessi dipendenti, povere le aziende artigianali se così fosse. Quello che si vuole approfondire è che tutte le informazioni per capire la sostenibilità della propria impresa stanno al suo interno: nel capitale umano.

Per gradi proveremo a definire meglio quanto finora detto.

Un’impresa risulta sostenibile nel mercato di riferimento quando le sue potenzialità, il suo vantaggio competitivo e le dimensioni del mercato le consentono di fare risultati economici e di poter investire per il futuro (non dimentichiamo quest’ultimo fondamentale aspetto).

Purtroppo o per fortuna l’equilibrio della sostenibilità non è una costante, per far si che la propria impresa dia sostenibile in futuro si deve continuamente valutare i mutamenti del mercato, verificare il proprio posizionamento, darsi nuovi obiettivi e applicare nuove strategie, sperando di non trovarsi mai in un mercato che si sta esaurendo. In quest’ultimo caso come un cercatore d’oro accorgendosi che il filone si sta esaurendo ne cerca uno nuovo, anche un imprenditore deve essere sempre pronto a riorganizzare la propria azienda per aprirla a nuovi mercati.

Come si possono affrontare mutamenti strategici, come si può avere vantaggio competitivo? Altri articoli che potete trovare su questo sito danno le risposte, qui mi limito a sintetizzare: un’impresa non può fare a meno di un’organizzazione di competenze adatte al raggiungimento degli obiettivi preposti. Le competenze (viste come conoscenza, esperienza e capacità) sono proprietà delle persone e restano pertanto di proprietà dell’impresa solo fino a quando quella persona collabora in azienda. Questa è un riflessione che spesso sfugge all’imprenditore.

In una visione tayloristica che purtroppo è ad oggi ancora molto diffusa nel mondo imprenditoriale, spesso si pensa che una persona sia facilmente sostituibile, ciò porta a sminuire il suo valore e pertanto la disponibilità a pagare opportunamente le sue competenze qualsiasi sia il suo ruolo. Chi comanda è il processo se ben definito la persona è un semplice ingranaggio che può essere sostituito al momento.

Ora questa visione è estremamente pericolosa perché induce ad una strategia di abbattimento dei costi brutale: il costo del lavoro è alto?, posso diminuirlo in due modi: sposto la produzione nelle nazioni povere, assumo personale meno qualificato a basso costo. La conseguenza poi è la convinzione che se possiamo fare queste scelte perché dobbiamo investire in formazione e quindi sul capitale umano.

Capitale umano, perché qualcuno si è alzato una mattina e ha dato questa definizione al personale di un’azienda? Non era certi un folle era un illuminato che aveva fatto la seguente uguaglianza:

 

Personale = Competenze = Valore = Capitale per l’impresa.

 

Ora la svalutazione di questo capitale perché la crisi economica e i retaggi tayloristici ci fanno perdere l’illuminismo imprenditoriale di qualche decennio fa, è un grosso problema per la sostenibilità dell’impresa. La svalutazione di un capitale porta a una perdita di denaro e qui inizia un ciclo insostenibile che non sempre è così apparente.

Ciclo insostenibile
Ciclo insostenibile

I primi a subire questa svalutazione sono le persone, il personale delle imprese, che si trovano al meglio a vedersi ridurre lo stipendio o direttamente o indirettamente con mancati aumenti corrispondenti al miglioramento del proprio contributo professionale nell’azienda e nei casi peggiori a trovarsi senza lavoro, sostituiti da persone con minori competenze ma a più basso costo.

Tutto ciò si traduce in una drastica diminuzione del potere d’acquisto e come componente essenziale del mercato (cliente) diventa primo attore della contrazione del mercato e di un approfondimento della crisi economica. Tutto questo è un circolo vizioso che si autoalimenta e che può portare alla non sostenibilità dell’intero mercato ed il primo sintomo è la recessione.

Approccio sostenibile

Di fronte alle nuove metodologie (come la Lean Manufacturing) di miglioramento dei processi produttivi per la diminuzione dei costi di lavorazione del prodotto, metodologie che si basano sulla partecipazione attiva del personale con le proprie competenze ed esperienze per fornire utili soluzioni in un processo di miglioramento continuo, si può pensare che ci siano soluzioni alternative.

Queste soluzioni alternative si basano sul miglioramento dell’efficienza del processo e richiedono in questo miglioramento l’intervento delle competenze e delle esperienze del personale umano. Il capitale umano non viene svalutato e non viene dato inizio al ciclo dell’insostenibilità.

La ricerca di un basso costo del lavoro è una soluzione effimera, indice di un management poco creativo, che cerca la strada facile per paura di affrontare un vera sfida che può portare dei rischi, ma che traguarda ad un futuro di successo.

 

Serve un nuovo illuminismo industriale, finanziario ed europeo. Continuando con una visione finanziaria limitata e che non apre al mondo del lavoro con tutte le sue problematiche si crea solo un intralcio ad una crescita economica sostenibile. Serve coraggio e creatività, mai come oggi.