LE FRUSTRAZIONI DEL MANAGER E I CAMBIAMENTI IN ATTO

Promuovere, consigliare, condividere con la Direzione e la Presidenza a volte è un esercizio impossibile soprattutto nelle PMI che non riescono ad accettare il cambiamento in atto.

 

 

 

 

 

 

Livio Lavelli | ll consulting | 5 maggio 2014

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

Quanti Manager possono svolgere appieno il loro ruolo nelle PMI, quanto è riconosciuta la loro professionalità in azienda, quanto sono ascoltati loro suggerimenti o contributi per il processo decisionale strategico, come sono misurati nelle loro attività?

Sono tutte domande che ai giorni nostri vengono spontanee soprattutto per chi svolge questa professione. Andremo ad analizzare ad uno ad uno gli argomenti ma occorre precisare che già il fatto ci si ponga queste domande significa che cominciano a non essere più chiari il ruolo, come svolgerlo e quali risultati si attende l’azienda, da qui nascono le frustrazioni dei manager.

Bisogna porre molta attenzione perché il fenomeno si sta allargando anche alle grosse aziende soprattutto in quelle dove in qualche modo la direzione ha carattere famigliare e si è formata più per dinastia che per effettive capacità direzionali.

Il primo sintomo che ha accompagnato questo cambiamento è legato principalmente a due fattori che all’inizio sono stati sottovalutati e a cui non si è dato la giusta considerazione:

  1.  La diminuzione delle riunioni strategiche con la presenza dei manager di funzione o di processo
  2. La lenta estromissione dalle decisioni degli stessi manager.

 

Quest’ultimo punto è essenziale, il manager da figura attiva nel processo decisionale si sta trovando o si è già trovato a rivestire un ruolo di esecutore: applicare le decisioni prese, senza poterle prima condividere, al personale e alle attività della funzione o del processo gestito.

Attenzione il ruolo di mero esecutore deprime e rende nulle le competenze come insieme di capacità ed esperienze lavorative, dimentichiamoci a tal proposito la formazione, a cui le aziende ormai non credono ahimè come aspetto prioritario con le logiche conseguenze. Questa situazione diventa estremamente pericolosa perché fa crescere nelle direzioni il credo che un manager professionale e ben pagato sia inutile in quel ruolo e facilmente sostituibile con uno di minor esperienza se non addirittura un novizio.

Da cosa nasce questo modo di agire delle aziende: dalla paura e dall’irrazionalità che crea a volte il panico di essersi accorti con notevole ritardo che le cose non vanno poi così bene. Una circostanza del tutto comprensibile, ma nonostante questo discutibile, considerando che poche aziende ragionavano, decidevano e facevano strategie con la bussola in mano. Del resto la bussola cosa serviva se si privilegiava il fiuto alle decisioni oculate secondo obiettivi ben mirati: la Visio.

Il panico non è il miglior consigliere così come non serve spegnere il fornello quando l’azienda è ormai bollita il tempo è stato irrimediabilmente perso.

Che fare allora? Certo l’errore più comune è quello di non analizzare gli errori e trovare dei capri espiatori: cattiva organizzazione, manager ben pagati che non hanno salvato l’azienda dalla crisi (poco importa se avevano poco potere decisionale). In seguito a ciò la logica scelta conseguente è stata quella di accentrare il potere decisionale su se stessi o su pochi esautorando dalle decisioni i manager.

Risultati: la continua bollitura dell’azienda fino all’inevitabile spappolamento.

 

Date queste premesse andiamo ad analizzare i punti essenziali dell’attuale frustrazione del manager.

 

Promuovere nuove strategie, obiettivi o miglioramenti

Il manager con i suoi collaboratori rispetto alla direzione ha una visione e una sensibilità al mercato e quindi al cliente molto più approfondita. Le sue competenza e la sua esperienza professionale di gestione e organizzazione dei processi gli consentono di individuare facilmente le criticità esterne quali ad esempio il posizionamento del prodotto/servizio sul mercato rispetto alla concorrenza, quali caratteristiche del prodotto creano valor per il cliente e quali no, sia le criticità interne quali le inefficienze, le caratteristiche tecniche non a valore perché non riconosciute dal mercato, gli sprechi i miglioramenti possibili ai processi, ecc.

In questo contesto è rilevante il suo ruolo di promozione di miglioramenti, di nuovi obiettivi, di modifiche alla strategia verso la direzione.

Nel passato un’azienda quando assumeva un manager, una volta constatatone il valore professionale, riponeva la sua fiducia nel suo lavoro fornendogli chiari obiettivi. In questo modo venivano fornite le deleghe necessarie per il lavoro e veniva richiesto una partecipazione fattiva al miglioramento dei risultati e degli obiettivi aziendali. Con questa impostazione il ruolo propositivo del manager era riconosciuto. La sua valutazione era principalmente legata al saper fare più che al saper essere.

Con questa impostazione, attraverso l’uso di opportuni KPI, il manager poteva verificare periodicamente verificare l’andamento delle attività e dei risultati in base agli obiettivi e alle strategie aziendali. Sentendosi parte delle scelte e delle strategie, analizzava gli scostamenti ne ricercava con approfondite analisi le cause e proponeva alla direzione miglioramenti e investimenti idonei per il raggiungimento degli obiettivi.

La Direzione teneva conto di tali proposte verificava con il manager in varie riunioni i mutamenti strategici e le modifiche degli obiettivi e i miglioramenti di processo necessari condividendoli con l’aria di Sistema di Gestione di Qualità (Qualità questa sconosciuta, più scritta sulla carta per avere un certificato, che una nuova cultura di produrre od erogare servizi, ma questo farà parte di un ulteriore articolo).

 

Bene questo ruolo del manager è decaduto la cecità creata da una crisi economica ha accentrato i poteri decisionali e ha eliminato i momenti di condivisione ritenendoli un costo superfluo ed evitabile. Basta poche direttive centralizzate non importa se a volte tra loro contradditorie e poco chiare per gestire al meglio l’azienda. Ciò di fatto esautora il ruolo principale del manager.

 

Consigliare modifiche o aggiornamenti operativi

Se il ruolo di promuovere aveva la potenzialità di entrare nei meriti dei poteri decisionali e strategici, la possibilità di consigliare modifiche o aggiornamenti operativi aveva e dovrebbe avere un ruolo di collante tra direzione e le attività produttive, commerciali, post vendita e amministrative a cui un’azienda non dovrebbe rinunciare. Uso il condizionale perché quanto sta avvenendo negli ultimi anni anche questa importante funzione viene sempre più snobbata dagli alti vertici.

La capacità di ascolto sta tramontando, non si ha il tempo di verificare, di analizzare, di migliorare; il motto comune è “si è sempre fatto così e le cose sono sempre andate bene e poi non ci sono soldi per i miglioramenti”.

Con una posizione come questa difficilmente si ha la volontà di accettare consigli per miglioramenti operativi. Tutto ciò aumenta ancora di più le frustrazioni del manager che si ritrova a diventare un semplice controllore dello status quo cercando con le poche armi lasciategli di raggiungere gli obiettivi, eh sì perché gli obiettivi sono rimasti l’unica cosa immutabile e richiesta. In un contesto come quello attuale, con una crisi in atto, gli obiettivi immutati diventano quasi impossibili da raggiungere soprattutto quando non vengono ascoltati consigli per affrontare al meglio il mercato.

Alla fine comunque si dovrà giustificare i motivi per cui gli obiettivi non sono stati raggiunti e bisogna fare attenzione a non mettere sul piatto che non si è stati ascoltati, non è una scusa accettata, anzi, a dire la verità, è un contributo ad una valutazione personale ancor più negativa del proprio operato.

Come si è detto l’aggiornamento operativo o di processo difficilmente viene visto come un contributo di miglioramento; davanti ad un nemico da combattere: la crisi, di fronte alla paura di soccombere tutto ciò che tende a mettere in discussione quella stabilità che per anni ha concesso di dormire sui comodi guanciali del profitto d’impresa, viene visto assurdamente come un attacco a se stessi e alla propria impresa. Del resto negli ultimi trent’anni lo sviluppo delle tecnologie, la crescita di internet e delle reti con uno scambio di informazioni vertiginoso, la conseguente crescita di modelli d’impresa e metodologie estremamente nuove e diverse dalla solita conduzione verticistica, basata sulle capacità del conduttore, nel suo fiuto per gli affari, ha creato il dissesto di questi principi considerati sempiterni e la crescita della paura su tutto ciò di nuovo che avanza prorompente, ma che difficilmente si comprende.

La strada era ed è solo una riporre la fiducia nei propri manager e circondarsi di personale altamente competente e qualificato che possa traghettare l’impresa verso il nuovo modo di fare impresa.

Forse è chiedere troppo? Potrebbe anche darsi, ma lo stillicidio di valutazioni positive e di avanzamenti di carriera dei tipici Yes Man, il cui unico scopo è del tutto personale rispetto a quello aziendale, insieme ad una mancanza di competenze e capacità è una situazione che deve finire rapidamente per salvare quello che resta del mondo delle imprese. 

 

Condividere strategie, scelte ed obiettivi

L’aspetto della condivisione è fondamentale per una sana gestione dell’impresa. La condivisione genera motivazione perché consente a chi deve mettere in atto le decisioni prese di conoscerne i motivi, gli obiettivi e i risultati attesi. Questo concetto valido per tutto il personale è ancor più importante per i manager. I manager devono gestire un team, devono motivare il team, devono controllare il team. Se non c’è condivisione con la direzione come può raggiungere brillanti risultati di gestione?

Nelle aziende medio piccole è molto diffuso il metodo del flow down, ossia delle decisioni e del flusso di informazioni che partono dal vertice e vengono distribuite alla base senza nessun feedback. Questo metodo non tiene in considerazione che i responsabili di processo ed i manager di funzione hanno una conoscenza molto più approfondita delle attività aziendali e ne conoscono pregi e difetti. Condividere con loro le decisioni comporterebbe una maggior incisività nella definizione dei cambiamenti strategici e di processo evitando una frequente revisione delle decisioni imposte m non condivise.

La mancanza di condivisione corrisponde a chiudere l’ultima porta di scambio informativo con la propria impresa ricordando che essa è formata più da uomini e dalle loro competenze che da macchinari o strutture.

 

La crisi d’identità dell’impresa

Da quanto finora detto si deduce che al di là di un profonda crisi economica le nostre aziende soffrono di una crisi d’identità che ha radici nell’antropoegocentrismo dell’imprenditore che non ritiene utile confrontarsi con gli altri o concordare manovre strategiche avendo un amore viscerale per le sue capacità imprenditoriali e per il suo fiuto per gli affari che nei tempi passati gli ha concesso di crescere, ma che con le attuali criticità di mercato: globalizzazione, rapido avanzamento tecnologico, reti di informazione sono diventati due qualità arcaiche ed inefficaci.

 

Alla “mi sono fatto da me” va sostituita una nuova identità cresco con l’aiuto degli altri mettendo in gioco il mio fiuto per gli affari e le mie capacità. E’ un nuovo concetto di farsi forti non solo con la propria esperienza, ma anche con l’esperienza e le competenze del personale dando sfogo ai nuovi modelli, alle nuove metodologie e alle nuove tecnologie.

 

La rete d’imprese: un mezzo per affrontare le nuove sfide

Da anni si parla di reti di imprese, ci sono stati parecchi progetti, ma questa cultura sta subendo ancora il sospetto di molti imprenditori.

Il sospetto nasce dall’individualismo con cui le PMI hanno dovuto approcciare il mercato facendosi spazio a gomitate con la concorrenza.

Oggi come abbiamo detto le sfide imposte dal mercato hanno mutato radicalmente l’approccio al mercato, la globalizzazione ha aperto i mercati esteri che sono molto appetibili ma richiedono di affrontare una serie di ostacoli quali la lingua, le diverse leggi che gestiscono il commercio, la penetrazioni in luoghi e culture sconosciute, ecc.

Oltre la globalizzazione internet ha stravolto il modo di porgersi al mercato sia dal punto di vista marketing/commerciale sia dal fatto che ha abbattuto le frontiere consentendo transazioni con semplici accessi alla rete.

Ci si sta avviando verso un mercato che pur creando buone opportunità difficilmente può essere affrontato da una singola PMI con le sole competenze e capacità dell’imprenditore. Servono know-how e competenze specifiche e manager competenti con cui sviluppare la strategia.

Tutto ciò ha un costo che la maggior parte delle volte non sono affrontabili dalla singola impresa, inoltre sarebbe richiesto un cambio organizzativo estremamente oneroso per affrontare mercati con questi volumi.

Non parliamo poi di bandi pubblici europei che pur essendo a volte una miniera richiedono referenze e capacità produttive non adeguate al singolo.

 

Tutto ciò può essere invece fatto molto più facilmente con la collaborazione in rete con le altre imprese abbattendo dubbi, perplessità, sospetti ed individualismo. Purtroppo o per fortuna il mondo economico richiede un nuovo approccio.


Autore: Livio Lavelli